Fortress Europe - Francesco Anselmi

Con un testo di Lorenzo Curti

I confini di Babele

Può sembrare paradossale ma ciò che lega, sia nel senso di tenere insieme sia di incatenare, il mondo intero, sono proprio i confini. Visti dall’alto delle nostre cartine geografiche appaiono ai nostri occhi come un reticolo, a volte ordinato da tagli rettilinei, a volte frastagliato di pinnacoli e rientranze. Se partissimo da un punto qualsiasi di queste linee immaginarie, inclusi quei confini “naturali” che sono i mari e gli oceani, potremmo giungere in qualsiasi luogo del mondo come su un percorso impossibile e babelico che unisce e al contempo separa in frammenti. E non è un caso che i confini, al di là delle linee sulle cartine, diventino spazi liminali che condividono, alle più svariate longitudini e latitudini, le medesime caratteristiche: luoghi di transito, soglia, evento, brulichio di vita ma anche paura, chiusura e innalzamento di muri, decretati come luoghi di scandalo mediatico e allarme dalle politiche nazionaliste degli stati contemporanei. Eppure ogni confine testimonia della sua radicale unicità, assumendo un volto diverso di anno in anno, di giorno in giorno, cambiando le persone che lo abitano, le dinamiche sociali che lo investono.

Allora il confine può diventare il luogo che non si vuole o non si può vedere, come le ragazze di Lampedusa che simbolicamente si coprono gli occhi come a rimuovere ciò che ci chiama a un’assunzione di responsabilità, oppure luogo di presidio della vita come nell’occupazione No Borders a Calais o nelle esercitazioni dei Sapeurs-Pompiers, volte a salvare la vita, o i corpi di essa priva, dei migranti a Calais. Migranti che, in ogni parte del globo, del confine fanno l’esperienza più radicale, più terribile e al contempo maggiormente testimone della libertà di movimento che da sempre caratterizza i flussi dell’umanità.
O ancora, l’immagine della pietra come cippo liminale, come segnalazione di un luogo di passaggio, legislativo, a indicare i nòmos, le leggi-confine della terra, diviene qualcosa di radicalmente diverso nella scelta della sindaca di Calais di riempire gli spazi verdi di rocce bianche (ironicamente, come le bianche scogliere dall’altra parte della Manica). Questi falsi dolmen non indicano più un luogo di passaggio, ma al contrario un luogo dove non si può più sostare, nemico all’uomo: pietre non per costruire case accoglienti ma per respingere. I massi della torre di Babele sembrano essere cadute per essere inciampo e divisione tra gli umani: queste rocce, staccate tra di loro, invece che alla comunità, sembrano rimandare alla dimensione di solitudine e di chiusura intersoggettiva così presente oggi nelle nostre società e nei soggetti che le abitano.

Eppure, l’immagine della capanna-isba al confine tra Polonia e Bielorussia, storta come se seguisse il vento o se lei stessa fosse dotata di una sua volontà di movimento, come quella di Baba Yaga, ci mostra che l’essere umano è sempre, ovunque, in cerca di una casa, anche e soprattutto quando è in transito, quando è sul confine.

© FA — Fotografia dell'Architettura Sguardi Contemporanei, Francesco Anselmi

Nato nel 1984, Francesco Anselmi vive attualmente a Torino.
Si è diplomato presso l’ICP di New York, ricevendo una borsa di studio dalla New York Times Foundation. Il suo lavoro si concentra sui cambiamenti in corso che coinvolgono le aree di confine nella società occidentale, dall’Europa agli Stati Uniti d’America. È stato finalista due volte del premio Oskar Barnack (2014/2019) e ha ricevuto il Visa D’or per la Stampa Quotidiana nel 2019 al Visa pour l’Image di Perpignan. Il lavoro di Francesco è stato pubblicato da numerose riviste ed esposto in numerose sedi e festival internazionali. Nel 2024 ha pubblicato Borderlands, la sua prima monografia, con l’editore tedesco Kehrer Verlag. 

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