Baulücken - Francesca Iovene

Quando sono arrivata a Berlino dopo aver vissuto 12 anni a Milano, ho dovuto cominciare un  processo di familiarizzazione: ci ho messo del tempo a riprendermi dal distacco e inizialmente ho  attuato un processo di selezione per trovare somiglianze e comprendere differenze tra i due luoghi.  Per me è impossibile pensare di non vivere in città, qualsiasi essa sia: sono nata e cresciuta in uno  spazio urbano e ovunque io vada il mio sguardo deve trovare un segno, una traccia, un ordine nel  disordine, una presenza. È nel caos della città che cerco l’intimità di cui ho bisogno: le visioni  sporcate dai semafori, lampioni, cartelli, le macchine e i flussi di persone, le brutture  architettoniche, gli alberi soffocati tra i palazzi. 

Alla fine è successo questo, che i miei occhi finivano sempre per impigliarsi in spazi vuoti. Un  vuoto che a volte grida e altre si nasconde dietro ad alberi e graffiti, ma sempre vuoto rimane.  Berlino è punteggiata da questa presenza dell’assenza, quasi mai strategica, quasi sempre  accidentale e che si estingue lentamente, un anno dopo l’altro. Questa assenza dirompente è  definita dallo spazio pubblico, dai campetti da calcio, dalle rotaie della s-bahn, dalla sua storia e dalla sua architettura. Se una città è il risultato dell’ordine cronologico degli eventi che si succedono, Berlino è il risultato dell’assenza di una cronologia precisa, dei vuoti che riempiono lo spazio e si appropriano delle sensazioni dei suoi abitanti, come grandi contenitori di decisioni e incidenti. 

La serie “Baulücken” raccoglie alcuni luoghi della città di Berlino caratterizzati da muri ciechi, una  volta muri antincendio (Brandwände) non visibili direttamente, ma che ora costituiscono parte del  nuovo paesaggio della città e interrompono il movimento dello sguardo: a volte sono interi  panorami che si aprono mentre cammini sul Behmstraßenbrücke, altre volte dettagli enormi tra le strade di Friedrichshain.  

Questa serie è la prima parte di un progetto più ampio, attualmente in corso, sulla città di Berlino, attraverso  rimandi, rievocazioni e similitudini: se si può parlare di qualcosa senza citarlo mai, si può anche parlare di Berlino e del suo Muro senza cercarlo né ricordarlo, ma solo attraverso altri muri, altri vuoti, altre presenze, evocando gli stati d’animo che questa città ti porta ad avere: un misto di nostalgia e bellezza come nelle storie di famiglia.  

  

Vorrei che esistessero luoghi stabili, immobili, intangibili, mai toccati e quasi intoccabili,  immutabili, radicati; luoghi che sarebbero punti di riferimento e di partenza, delle fonti: il mio paese  natale, la culla della mia famiglia, la casa dove sarei nato, l’albero che avrei visto crescere (che  mio padre avrebbe piantato il giorno della mia nascita), la soffitta della mia infanzia gremita di  ricordi intatti… Tali luoghi non esistono, ed è perché non esistono che lo spazio diventa  problematico, cessa di essere evidenza, cessa di essere incorporato, cessa di essere appropriato.  Lo spazio è un dubbio: devo continuamente individuarlo, designarlo. Non è mai mio, mai mi viene  dato, devo conquistarlo. I miei spazi sono fragili: il tempo li consumerà, li distruggerà: niente  somiglierà più a quel che era, i miei ricordi mi tradiranno, l’oblio s’infiltrerà nella mia memoria, guarderò senza riconoscerle alcune foto ingiallite dal bordo tutto strappato.

— Georges Perec, Specie di spazi

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Francesca Iovene è una fotografa laureata in Architettura al Politecnico di Milano. Dopo gli studi  decide di dedicarsi completamente alla fotografia urbana e di paesaggio, con una particolare  attenzione l’intimità e all’atmosfera dei luoghi. 

Vive tra Berlino e Milano, porta avanti progetti personali e lavori commissionati, collaborando con  architetti, riviste e case editrici. Al momento sta sviluppando una serie di reportage sull’architettura  contemporanea genovese per SAGEP editori.  

Ha vissuto un anno in Cile lavorando sulla sua tesi magistrale su un progetto sul Deserto di  Atacama tuttora in corso, ha prodotto un lavoro sulla Valle di Lozio (BS) durante la residenza  artistica Falìa AIR nel 2018 e nel 2020 ha partecipato alla residenza “Mulattiere Acquasanta” nelle  Marche, organizzata e curata da Ikonemi, il cui risultato sarà esposto ad Ascoli Piceno nel  settembre 2021.  

Francesca ha tenuto lectures sul suo lavoro in alcuni corsi di progettazione del Politecnico di  Milano e all’Università di Genova, ha esposto a Riaperture PhotoFestival Ferrara e contribuito con  alcune immagini alla mostra “Ricostruzioni” alla Triennale di Milano curata da Alberto Ferlenga e  Nina Bassoli. I suoi reportage d’architettura sono regolarmente pubblicati sulle maggiori  piattaforme e riviste d’architettura e design.  

È inoltre co-founder di Camerae Magazine, un progetto che racconta gli studi d’artista di tutto il  mondo e di Scenario, un’agenzia di consulenza all’immagine e un archivio di narrazioni urbane e  architettoniche. 

Francesca si concentra istintivamente sulle atmosfere dello spazio per raccontare sensazioni,  ricordi e esperienze del proprio vissuto, portando la realtà soggettiva in quella oggettiva, mettendo  in scena la quotidianità così com’è conosciuta. La luce, gli oggetti e i fenomeni casuali unici o  ricorrenti compongono le architetture e gli spazi in generale, rendendoli uguali a se stessi ma  sempre diversi. 

www.francescaiovene.com 
@francescaiovene