Campelli - Ilario Piatti

Situata sul versante orobico della Valtellina, la località Campelli si trova ad un’altitudine di 1300 metri. Nata come località di alpeggio estivo, nel corso del tempo, nonostante abbia subito una trasformazione, essa ha mantenuto un contatto con le sue origini. Attualmente al Campei, come lo chiamano in dialetto gli abitanti del luogo, la presenza di mandrie al pascolo è praticamente assente: i pochi greggi esistenti, infatti, si  postano ad un’altitudine maggiore. Le vaste distese sottratte alla natura vengono attualmente ancora curate, anche se il fieno prodotto non viene totalmente utilizzato poiché una parte di esso viene abbandonato sui campi. Questa attività viene svolta d’estate dai giovani dell’oratorio, che, durante i centri estivi, si dilettano in questo prezioso lavoro. La manutenzione della zona è gestita ottimamente anche dai proprietari attraverso la cura dei prati delle proprie case. Queste abitazioni vengono usate solamente durante il periodo estivo: d’inverno la strada non viene pulita, il ghiaccio e la neve bloccano la via fino all’arrivo della primavera. Questo, però, non ferma gli sciatori più sportivi che in questo periodo utilizzano il versante per allenarsi salendo fino alla vetta del pizzo Meriggio (2358 m). L’area sorge all’interno del Parco delle Orobie Valtellinesi e quindi è sottoposta a vincoli stringenti riguardo la costruzione e la ristrutturazione dell’architettura del posto (articolo 146 del Codice dei beni culturali e del paesaggio).

Sono sempre stato a conoscenza della località Campelli, ma non ho mai avuto l’opportunità di visitarla e viverla fino a quest’estate: abituato al frastuono della città, la sua pace e tranquillità mi hanno stregato portandomi a riflettere sulle funzione di queste “baite” alpine, che, purtroppo, rimangono spesso troppo poco abitate e sui particolari che le accomunano.

La tradizione architettonica del posto, nonostante le riqualificazioni subite negli anni, mantiene tutt’oggi il linguaggio ed i suoi caratteri costruttivi fondendosi con il contemporaneo e, allo stesso tempo, creando un legame forte con la natura e il paesaggio circostanti. L’uso delle materie prime e la struttura semplice di massimo un piano, determina un linguaggio riconoscibile che caratterizza il borgo.
Inizialmente ho cominciato a fotografare l’architettura durante le ore centrali della giornata, ma la dura luce estiva mal si adattava al mio racconto. Quindi ho deciso di fotografare il luogo con le prime luci del sole, cosa che mi ha aiutato ad amplificare, soprattutto nelle fotografie di paesaggio, la tranquillità e la magia del posto.

La seconda fase è stata la selezione delle fotografie, prima a computer e poi tramite delle piccole stampe, affiancando i soggetti che avevano i medesimi particolari costruttivi (particolari dei prospetti, aperture, ecc) oppure aspetti fotografici simili o, ancora, elementi naturali ricorrenti, per poi cucire delle piccole sequenze che potessero raccontare il luogo.
Queste sequenze poi sono state unite inserendo delle pause sia grafiche, con delle pagine vuote, sia fotografiche con l’inserimento di scatti più poetici. Un aspetto particolare è stata la sequenza in cui provo a narrare l’architettura della chiesa: prima di illustrare elementi che ne descrivono la funzione, cerco di mostrare alcuni scatti dove è presente una croce “moderna”, cioè i pali dell’alta tensione che portano la corrente elettrica.

Questo progetto quindi si propone di raccontare quello che è stato costruito e mantenuto durante il tempo, di esplorare come l’architettura si relaziona con l’ambiente circostante ma anche come un ambiente montano e abbastanza isolato viene gestito e vissuto. 

Ascolta l’intervista.